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Sarà celebrato domenica 26 febbraio a Castiglione Ossola a partire dalle 15,30 l’annuale ricordo del sacrificio del Servo di Dio don Giuseppe Rossi.

Quest’anno la ricorrenza cade nel giorno esatto nel quale, nel 1945, il parroco venne trucidato di notte con un’efferatezza dai fascisti della Brigata “Muti”, dopo che in quello stesso mattino era stata attaccata dalle milizie partigiane e costretta alla sosta nel paese della Valle Anzasca

Non si trattò di rappresaglia contro la popolazione inerme, ma di un vero martirio, perpetrato senza giustificazione alcuna se non quella di avere un nuovo turpe trofeo da esibire, nonostante tacquero vilmente per otto giorni, avendo anche la sfacciataggine di dichiarare pubblicamente di non saper nulla della sorte del mite pastore. 

Solo alla fine, uno di loro, nel tormento del rimorso, si confidò, raccontando la verità. I Castiglionesi trovarono così don Rossi nel vallone dei Colombetti sotto il paese, sepolto in una fossa che era stato costretto a scavare con le proprie mani; il cranio spaccato dal calcio di un fucile, una pugnalata alla schiena e il colpo di grazia in viso.

La vita di don Rossi

Don Giuseppe era nato il 3 novembre 1912 a Varallo Pombia e, giovanissimo era entrato nei seminari diocesani, dai quali sarebbe uscito sacerdote il 29 giugno 1937 a 25 anni. Nel 1939 il vescovo lo nominò parroco di Castiglione Ossola, ove spese tutto il suo ministero pastorale, in un tempo segnato dal secondo conflitto mondiale. Tuttavia, come pastore non si perse d’animo, ma organizzò l’Azione cattolica, la San Vincenzo per i più poveri, aiutò con le poche risorse le missioni, si spese per i giovani partiti per il fronte, scrivendo loro sovente. 

Come il buon pastore

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, al periodo di sbandamento che seguì, don Rossi, obbedendo all’episcopato piemontese, non si schierò, né si pronunciò per nessuna delle parti in causa, ma rimase al di sopra di esse, per essere per tutti indistintamente “il buon pastore”. Soffrì con cuore di padre nel vedere i suoi figli combattersi in una lotta fratricida, li confortò con ardore apostolico, sino al sacrificio della propria persona. Una vita umile, dunque, la sua, ma ricca del “profumo delle pecore”; un’esistenza “semplicemente santa”, conclusa con l’offerta di sé stesso, come don Rossi aveva programmaticamente ma profeticamente scritto nell’immaginetta-ricordo della prima messa: «Darò quanto ho, anzi darò tutto me stesso per le anime vostre».

Per questa ragione la fama di martirio del Servo di Dio è cresciuta ed è costante. Ne sono prova ancora oggi le commemorazioni annuali, sempre partecipate. Né vanno taciute le attestazioni di tutti i Vescovi di Novara, che hanno presieduto le celebrazioni più importanti riguardanti la memoria del Servo di Dio. Di queste ultime se ne ricordano due in particolare: quella di mons. Franco Giulio Brambilla e del suo immediato predecessore, il card. Renato Corti.

Brambilla: «Prete per tutto e per tutti»

Secondo mons. Brambilla la figura di don Rossi è di esempio ancora oggi per il clero per tre motivi. Anzitutto, disse il presule nell’omelia del centenario della sua nascita, «il prete, che don Rossi incarnava, era “per tutto e per tutti”. La parrocchia potrà cambiare le forme, ma non dovrà perdere questo elemento decisivo». 

Il secondo motivo è la cura delle persone a lui affidate. «Don Rossi ha fatto sì che la parrocchia tradizionale fosse anche “per ciascuno”. Egli sapeva valorizzare la storia di ciascuno e curare le persone con uno sguardo particolare. Questo è sempre stato il frutto vero della parrocchia». La terza dimensione è quella di aver avuto a cuore il privilegio dei poveri, «quelli che hanno la vita che fa fatica ad andare avanti nelle relazioni». 

Proprio per queste tre ragioni don Rossi «provoca così anche la vita dei parroci di oggi, affinché costruiscano parrocchie-focolari, dove si generino parole di speranza e di fiducia, soprattutto per chi è più fragile, e che siano il luogo in cui le persone possano fare grandi scelte». 

Corti: «Don Rossi come un patrono»

La seconda testimonianza è del card. Renato Corti di che, nell’omelia in occasione del suo cardinalato (11 dicembre 2016) ebbe a dire: «Nella sacristia della cappella vescovile sta un quadro che custodisce una grande fotografia di don Giuseppe. La scrutavo ogni giorno. E ogni giorno il suo coraggio e la sua fede mi risultavano molto eloquenti. Può essere di sostegno anche per tutti voi quando siete chiamati a scelte impegnative; quando l’essere cristiani e la pratica del Vangelo si paga a caro prezzo; quando la propria responsabilità chiede una impegnativa fedeltà. In quei giorni difficili, don Giuseppe Rossi vi fa compagnia. Per quanto mi riguarda, considero don Giuseppe come un patrono».

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