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Da un mese e mezzo si è messo a piovere abbondantemente e con costanza, fatto che ha determinato un notevole regresso delle condizioni di emergenza idrica, benchè non completamente estinta. La primavera novarese, alla stazione Arpa di via Celle Beccari, chiude con 238,6 mm a fronte di una media storica di 280. Gran parte della pioggia è caduta dal 20 aprile in poi (195,2 mm). Le precipitazioni, tornate regolari, sui bacini di Sesia, Toce, Ticino hanno consentito un parziale recupero degli invasi. I canali funzionano con portata regolare. E la Natura è tornata rigogliosa.

Però, l’emergenza non è del tutto rientrata ed è presto per dire “scampato pericolo”.
Purtroppo manca “la base” ovvero le riserve di neve stagionale che sono quasi completamente mancate. Pertanto, se dovessimo tornare a condizioni bariche sfavorevoli – anticiclone invadente da ovest – la siccità si ripresenterebbe rapidamente. Confidiamo in un’estate clemente (ben diversa dalla 2022) e in una prossima stagione nivologica migliore della passata.

Lo scenario futuro più probabile vede un aumento della varianza pluviometrica, ma anche un progressivo ammanco del volume di ghiaccio che rappresenta il 69% delle nostre riserve idriche. Ciò significa che, durante un futuro anno piovoso, di acqua tutto sommato ce ne sarà ma, nell’anno asciutto, non avremo la fusione della neve a venirci in soccorso. Dunque, il rischio siccità in Pianura Padana, secondo uno studio del MetOffice, passerebbe da basso a medio-elevato nel giro di pochi anni.

L’altro lato della medaglia sono state le alluvioni in Emilia Romagna. Allora scatta la domanda. I cambiamenti climatici c’entrano in qualche modo con le alluvioni? Non pare dissociante e contradditorio parlare di siccità e poi doversi preoccupare per le alluvioni? Prima di dire, frettolosamente, che chi si occupa di clima tira sempre in ballo il global warming, è utile una riflessione.

In passato, eventi simili sono già capitati, ancora prima che il riscaldamento globale diventasse di dominio pubblico. E talora perfino due o tre casi nel giro di un anno. Per esempio? Un precedente è proprio “emiliano”, risale al maggio 1939 e ha riguardato le stesse aree colpite dalla doppia alluvione del 2023. Un altro caso è più “nostrano”: tre episodi alluvionali colpirono l’Alto Piemonte, nel maggio e nell’ottobre 1977 e uno ancora più grave, pochi mesi dopo, l’8 agosto 1978, di cui molti serbano triste memoria (ricordiamo i 318 mm in 4 ore caduti a Camedo). E dire che 1977 e 1978 furono perfino annate fredde, così come il 1939.

Quindi se si cerca di associare il singolo episodio alluvionale al cambiamento climatico si va fuori strada.

Nel singolo episodio, l’attribuzione causale del clima è difficile, in quanto è troppo importante la variabilità configurativa, capace talora di eventi straordinari. Però, se la questione viene vista dal lato opposto, si giunge a conclusioni diverse: i cambiamenti climatici rendono statisticamente più probabili eventi estremi ravvicinati nel tempo. Dunque, rispetto a decenni fa, è più probabile passare da condizioni di siccità estrema a improvvise alluivioni, peraltro con una quantità di materiale esposto molto maggiore rispetto a prima. Certo, occorre anche riflettere sulle responsabilità dirette dell’uomo nella perdita di vite umane e materiali durante le alluvioni e sulla gestione dei fiumi.

Luca Dal Bello, storico del clima e Validatore dei dati del Centro Meteo Lombardo

Luca Dal Bello, storico del clima e Validatore dei dati del Centro Meteo Lombardo

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