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“Ma quello non sono io”! A causa dello sharenting, tra qualche anno questa frase potrebbe essere pronunciata all’interno di tante famiglie. Milioni di ragazze e ragazzi che si ribelleranno alla narrazione della propria immagine costruita a loro insaputa dai genitori. È questo lo scenario di un futuro più che plausibile, che incombe sulle mamme e i papà che postano in continuazione foto e video dei propri figli.
Il fenomeno si chiama sharenting e, in lingua inglese, unisce i termini “condivisione” (sharing) e “genitorialità” (parenting).

Una prassi che espone i minori sui social e nelle chat ancora prima di venire al mondo. Dalla prima ecografia in avanti, ogni momento è buono per essere immortalato e condiviso sulle varie piattaforme.
Le foto messe in Rete circolano e diventano disponibili praticamente per chiunque. Non solo, questa diffusione costante da parte dei genitori, può causare anche danni a livello psicologico nel minore che viene sovraesposto fin dalla nascita.

Una ricerca svolta dalla Ong statunitense Child Rescue Coalition mostra che all’età di 2 anni, il 90% dei bambini ha già una presenza sui social e che prima dei 5 anni si postano più di 1500 foto che li rappresentano. Non si tratta di qualche scatto in occasioni speciali, ma di una costante esibizione che risponde ad un bisogno dell’adulto, più che all’interesse del bambino.
Gli esperti non temono di definire questo processo una “vetrinizzazione” dei figli a mezzo social. La foto assieme ai bambini diventa quindi una chiave per ottenere follower ed appagare il proprio ego digitale.

Per non parlare delle chat di messaggistica istantanea, dove le immagini dei bambini spopolano a dispetto del contesto.
Oltre alla tematica dell’identità digitale, infatti, emerge un rilevante fattore di rischio rispetto all’utilizzo di questo materiale. Video e foto dei nostri figli possono finire nelle mani (o sui profili) sbagliate.
Da qui nasce una proposta di legge francese per arginare il fenomeno dello sharenting. La Francia, già al lavoro su una norma che protegga i bambini dal libero accesso ai siti pornografici, sta lavorando ad un legge che ponga il freno ai genitori influencer.

Una sfida lanciata già lo scorso settembre, con la costituzione della delegazione per i diritti dei bambini.
Dopo la recente approvazione unanime del testo nel parlamento francese ora la palla passa in Senato per la seconda lettura, ma l’obiettivo comune sembra ben delineato: chiarire che “i genitori non hanno un diritto assoluto” sull’immagine dei loro figli.

Gli accorgimenti a tutela della privacy dei più piccoli sono diversi. Usare la mail, ad esempio, consente di condividere un file con parenti o amici lontani, ma senza passare dai social o dalle App di messaggistica istantanea.

Altro escamotage, l’utilizzo dei cloud condivisi in famiglia permette di limitare la diffusione di materiali privati o sensibili, come le foto del compleanno di un nipotino.
Una ricerca commissionata da ParentZone sottolinea che il 32% dei genitori pubblica tra le 11 e le 20 foto del proprio figlio o figlia al mese. Il 28% di loro non si è mai posto il problema di chiedere ai figli il consenso.

Una volta adulti, per le nuove generazioni di oggi potrebbe essere difficile crearsi un’identità digitale propria. Impossibile, del resto, garantire il famoso “diritto all’oblio” a fronte di migliaia di foto e video già pubblicate negli anni. Almeno fino a quella fatidica frase, quel preciso momento in cui i figli staccano il cordone ombelicale dai social dei genitori per crearsi i loro profili.

Fondazione Carolina ha messo a disposizione delle famiglie e di ogni adulto con responsabilità educative, strumenti e informazioni per garantire ai più piccoli un’esperienza digitale protetta e positiva.
Materiale educativo, schede sui social e per la sicurezza online su www.minorionline.com

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