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A Gaza niente sarà più come prima. Qualcuno parla già di 11 settembre del Medio Oriente: vero è che siamo davanti a qualcosa di inedito, mai visto negli ultimi cinquant’anni di conflitto tra israeliani e palestinesi.

Come è stato possibile? Hamas è cambiata: la nuova generazione è più determinata, stanca di una situazione senza speranza, stufa di una leadership debole e inadeguata. Peraltro la politica miope ed estremista di Netanyahu ha danneggiato il tessuto sociale, che in Israele oggi è più che mai diviso e Bibi ne paga il conto anche in politica estera.

A livello regionale, l’accordo tra Arabia Saudita e Israele è qualcosa che l’Iran, storico alleato di Hamas, non vuole in alcun modo. Teheran è disposto a tutto pur di bloccarlo, mandando al macello Gaza e i palestinesi. L’Arabia è tornata subito sui suoi passi, mentre i guardiani della rivoluzione islamica sorridono. E se una guerra non nasce “mondiale” ma lo diventa, l’aumento di tensione in Medio Oriente alimenta il vero spauracchio del conflitto allargato a livello globale, che certi vorrebbero cavalcare. Le prossime settimane saranno fondamentali per capirlo.

L’Europa? Non pervenuta. In questi anni ha lasciato all’estremismo islamista il monopolio della questione palestinese e oggi piange lacrime di coccodrillo. Che non servono a niente e soprattutto non convincono più nessuno.

Soluzioni? Non a breve, né a medio, e neanche a lungo periodo. Eppure negli anni tanti hanno indicato la via: “la pace con la giustizia, la giustizia con il perdono”. Così disse Giovanni Paolo II. Oggi la piccola comunità cristiana in Terra Santa affronta questa sfida lanciata più di vent’anni fa nei luoghi dove la legge del taglione ha fatto già tanti, troppi morti.

Andrea Avveduto,

Responsabile comunicazione
Associazione Pro Terra Sancta

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