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Nella chiusura del suo messaggio per la XXXI Giornata Mondiale del Malato, papa Francesco indica il Santuario di Lourdes come «una profezia, una lezione affidata alla Chiesa nel cuore della modernità». Profezia perché ci ricorda che «non vale solo ciò che funziona e non conta solo chi produce». 

Le sue parole rimandano una volta ancora alla parabola del buon Samaritano, che troviamo nel vangelo di Luca. Parole che conosciamo, ma sulle quali è bene ritornare più volte. Il racconto evangelico descrive una situazione assolutamente reale, che accade e può accadere, perché fa parte della nostra esperienza umana. Il desiderio di Gesù mentre racconta la parabola non è solo descrittivo: nel dialogo con il dottore della Legge cerca il suo coinvolgimento. Quanto accade al malcapitato pone delle domande: tu cosa vuoi fare di fronte a questo? Chi è il tuo prossimo? Oggi siamo abituati ad un approccio molto differente: conosciamo molto di più ciò che accade nel mondo, ma rispetto a certe situazioni ci manteniamo a distanza di sicurezza. Sentiamo come lontane, estranee, certe vicende, anche se l’esperienza della pandemia ci ha mostrato che il nostro pianeta è più collegato che mai. 

Don Michele Valsesia, referente diocesano per la Pastorale della Salute
Don Michele Valsesia, referente diocesano per la Pastorale della Salute

Nel novembre 2019 il nome di Wuhan era praticamente sconosciuto e la Cina sembrava così lontana…. Non è più possibile “passare dall’altra parte della strada”! «La malattia fa parte della nostra esperienza umana», inizia il papa; scartarla comporterebbe il rischio di vivere a metà. Da soli. Alla fine, in un modo irreale. Un’esperienza che ho riscontrato sia in me che in diversi operatori sanitari è che stando in ospedale si vede la vita in modo completamente diverso: si apprezzano anche i gesti semplici (che a volte racchiudono una ricchezza), si comprende meglio il valore della vita, si riesce a distinguere meglio il senso delle cose che viviamo… 

Sottolinea il pontefice che «è lì, in quei momenti, che si vede come stiamo camminando». E allora «possiamo imparare a camminare insieme (da cui la parola sinodo) secondo lo stile di Dio, che è vicinanza, compassione e tenerezza». Anche nelle comunità e nei gruppi animati dalle migliori intenzioni e ideali, la prossimità, la compassione (non il compatimento, per favore!) è un esercizio di realismo e di vita. Per chi dà e per chi riceve: l’esistenza non è fatta a compartimenti stagni.

Una delle obiezioni che spesso ci frenano nel rispondere alle situazioni di bisogno, vere chiamate, vocazioni della vita, è l’impressione di essere inadeguati o impotenti nel portare sollievo in contesti molto più grandi di noi e delle possibilità che ci troviamo ad avere. Di nuovo il papa, ricorda come la solitudine e l’abbandono  è «un’atrocità che può essere superata prima di qualsiasi altra ingiustizia, perché a eliminarla basta un attimo di attenzione, il movimento interiore della compassione».

La Giornata del Malato, voluta da san Giovanni Paolo II malato lui stesso, intende richiamare alla dimensione della cura, fondamentale nella missione della Chiesa (e non solo!). Intende anche offrire un dono per evitare di smarrire il cammino. E lo fa attraverso le parole di Gesù riportate da Luca, ma anche attraverso le numerose persone segnate dal dolore con cui condividiamo il cammino. Questa parabola diventa una vera profezia, cioè una Parola detta da Dio per noi, per educare, confortare, esortare e discernere. E le persone malate costituiscono una “profezia vivente” sul nostro modo di affrontare la vita e sulle priorità che ci diamo.

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