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“Vorrei passare dai 10 ai 30 per non subire questa tortura: il primo amore, la prima casa, dover vestire quest’armatura…”. Era il 1992 quando Jovanotti cantava “I giovani”, rappresentando inquietudini, incertezze e ansia da fallimento di una categoria tanto sfuggente, quanto stereotipata.

Sono passati più di 20 anni e i giovani restano al centro di un dibattito che passa sopra di loro, senza mai coinvolgerli davvero. Dai 15 anni ai 25 il disagio è in aumento, ben oltre il perimetro tradizionale dell’adolescenza. La responsabilità non è certo solo del Covid. Gli anni di restrizioni della pandemia hanno portato alla luce quello che già stava accadendo ad adolescenti e giovani. Noi adulti dobbiamo imparare ad ascoltarli veramente.

I genitori, così come tutta la comunità educante sono chiamati a riconoscere i segnali di un disagio che si manifesta con sintomi diversi, ma che conduce sempre alla paura di non trovare un posto nel mondo, di non essere compresi, amati. Un’ansia da fallimento così feroce, che paradossalmente si trasforma in un gorgo che attira a sé energie, entusiasmo e sogni.

Ci sono due estremi: da una parte, gli adolescenti che si chiudono in casa concentrati sullo schermo. Il loro mondo diventa quello virtuale e, come per gli hikikomori, chiusi nelle loro camere, rifiutano qualsiasi relazione sociale e vivono solo sul web. Poi c’è la dimensione digitale, nella quale i ragazzi trovano la qualunque e possono fare di tutto, dall’investimento nelle criptovalute alle challenge. Senza contare quelle sfide pericolose che hanno ripercussioni sul mondo reale, come la sex roulette in cui la sfida consiste nel fare sesso non protetto. E perde chi resta incinta. Altro problema: l’intelligenza artificiale. Uno strumento da poco disponibile, ma che viene utilizzato sempre più di frequente per creare contenuti falsi da immettere nella Rete. Un po’ come per la Bikini off, il programma che “spoglia” persone ignare, senza il loro consenso.

In un contesto dove tutto è verosimile, dove la qualità dei contenuti è subordinata al bisogno di essere virali, di avere like, views e follower.

Un tritacarne continuo, che si alimenta con emozioni artificiali, ma tutt’altro che virtuali nelle loro manifestazioni. A farne le spese i soggetti più fragili, meno esperti, convinti che nessuno possa risolvere un malessere al quale neppure loro riescono a dare un nome. La verità però è un’altra. In fondo al loro cuore, i nostri giovani ci tendono la mano, perché anche se lontani, perfino se non ci riconoscono come interlocutori, vorrebbero essere aiutati, sostenuti, apprezzati. Difficile per l’adulto individuare come farlo.

Noi di Pepita, ad esempio, stiamo sperimentando tanti modi diversi per invogliare gli adolescenti a raccontarci come si sentono, valorizzando i talenti, attivando laboratori artistici, dalla fotografia al teatro e riscoprendo il gioco come elemento di aggregazione. La logica è sempre quella dell’ascolto. Un concetto fondamentale, alla base di percorsi sperimentali come “l’educatrice in corridoio”. Una nostra educatrice si mette a disposizione degli studenti che non riescono a restare in aula, spesso in preda a crisi d’ansia, di rabbia o di sconforto. Con lei i ragazzi parlano, si sentono ascoltati e protetti. È importante esserci, farsi trovare lì, dove e quando serve.

Detto questo, il fallimento può rivelarsi un passaggio utile, una piccola, grande svolta nell’arco dello sviluppo dell’individuo e della realizzazione personale. Una sconfitta, alla lunga, porta ad una vittoria più grande, se sappiamo imparare dai maestri più efficaci: i nostri sbagli.

Nessuno, però, può correggersi da solo. La tutela dei nostri ragazzi deve poggiare su una rete di supporto dalle molteplici competenze e in grado di accompagnare i nostri figli lungo un percorso di crescita sano e positivo. Anche le famiglie non devono avere paura di chiedere aiuto. Questa grande sfida educativa si vince insieme, mettendoci ognuno dalla parte dei ragazzi.

Ivano Zoppi, presidente di Pepita Onlus

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