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Come accompagnare chi soffre, nel compito del volontariato ma anche nell’esperienza professionale, alla luce della fede e con la tensione ad una prossimità attenta e umana. Questi i temi attraversati da Mariella Enoc, presidente del “Bambino Gesù”, intervenuta domenica a Intra all’Incontro d’Autunno, l’assemblea annuale dell’Oftal nella quale sono stati festeggiati i settant’anni della sezione novarese, con la presentazione del volume “Cara, bella, magnifica Oftal di Novara”. A moderare l’incontro, introdotto dal presidente Stefano Crepaldi, è stato il teologo don Pierdavide Guenzi, che ha sollecitato Enoc attraverso passaggi del recente libro da lei scritto con padre Francesco Occhetta, dal titolo “Il dono e il discernimento. Dialogo tra un gesuita e una manager”.

«Sono contenta di tornare e di parlare nella mia diocesi: qui ho le mie radici» ha esordito Enoc ricordando anche un suo pellegrinaggio a Lourdes in anni giovanili.
«Il volontariato è vocazione di laico impegnato – ha quindi affermato – e non scelta di occupare tempo libero. Va coltivato per non inaridirlo e serve la formazione, ma anche accettare di andare dove c’è il bisogno. Il volontario non sceglie ciò che gli piace! E non pensiamo sempre al fare, ma lasciamo prevalere il nostro essere».
«Serve la grande capacità dell’ascolto – ha aggiunto – e non di obbligare gli altri a fare quello che noi pensiamo sia bene, anche per la fede».
Quindi un riferimento al papa: «Quando Francesco viene in ospedale la sua norma è il silenzio: ascolta e abbraccia, non elargisce “parole da prete”! Con il sorriso comunica amicizia e la gente si sente amata. Poi a me dice: quanta sofferenza!».

Già, «la sofferenza ci deve interrogare e inquietare ogni volta, cioè spingerci a fare sempre di meglio. Mai abituarsi, altrimenti avremo cuori di pietra».
Parlando del “Bambino Gesù”, Mariella Enoc un po’ si confida: dalla nomina inattesa quando «pensavo di tornare a una vita normale, ho 78 anni ma mi sento giovane dentro!», alle difficoltà, poi superate, per modernizzare l’organizzazione ad esempio volendo la presenza dei genitori accanto ai figli anche nelle rianimazioni e “aree rosse”. Consapevole che «nella mia vita sono stata una protagonista» ma «cercando di discernere come far sì che questo sia sopravanzato dalla testimonianza. Non si vedano le ambizioni, ma la scelta del servizio, anche nelle piccole cose».
Parla anche della sua vita di fede: «una ricerca continua».
Infine sull’ospedale pediatrico più grande d’Europa, dove ha voluto aprire un centro di cure palliative «per i bambini a cui si deve comunque garantire la migliore qualità di vita, non accanimento terapeutico, ma cura e accompagnamento» con il più ampio coinvolgimento delle famiglie.
«Non è ideologia, ma umanità. Il papa mi ha detto: questo non è un ospedale cattolico, ma un ospedale umano».

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