Una celebrazione speciale, colorata da un eco di affetto e di festa per l’abbraccio da parte dei fratelli sacerdoti a Filippo Ciampanelli, prete novarese in servizio come sottosegretario del dicastero per le Chiese Orientali della Santa Sede, ordinato vescovo lo scorso 19 febbraio in San Pietro, durante il pellegrinaggio diocesano per il Giubileo.
È stata questa la Messa Crismale di quest’anno, l’occasione in cui il presbiterio si riunisce in cattedrale attorno al vescovo Franco Giulio per rinnovare le promesse sacerdotali e per la benedizione degli oli sacri.
«Le parole che vi dirò stamattina – ha esordito il vescovo – mi sono sgorgate dal cuore dall’eccezionale circostanza della presenza tra noi di un figlio della nostra Chiesa». L’omelia è stata così un “bentornato” che ha intrecciato la memoria dell’ordinazione – «quella sera memorabile con centinaia di novaresi» – con il presente di una Chiesa madre che riaccoglie un figlio divenuto pastore. Don Filippo, con discrezione, aveva declinato l’invito a tenere l’omelia, ricordando che è «di diritto del vescovo diocesano».
Parlando al giovane vescovo, Brambilla ha proposto una riflessione sulla vocazione al ministero. A partire dalla figura dell’apostolo Pietro. «Prendi il largo e gettate le reti», è la sfida che lancia Gesù all’apostolo. Ed è il passaggio dal singolare al plurale – dal “prendi” al “gettate” – a rivelare il cuore del ministero: la comunione. «Sta diventando difficile trovare preti che sappiano gettare la rete insieme – ha ammesso il vescovo –. Il ministero oggi ha bisogno di uno stile capace di armonizzare e collaborare con tutti».
L’omelia (sul sito della diocesi il testo integrale) ha poi scavato nell’episodio del Vangelo di Luca del discepolo e del maestro: «Se vuoi essere un maestro, un pastore, un diplomatico ascoltato – ha detto rivolgendosi a mons. Ciampanelli – devi rimanere discepolo del Signore». Senza questo atteggiamento, il rischio è quello di diventare specchio narcisistico per chi cerca conferme, anziché guida profetica. «Puoi salire sulla cattedra solo se rimarrai sempre nell’ultimo banco ad ascoltare la Parola», ha affermato il vescovo, con forza e affetto.
Il secondo passaggio ha toccato il tema delle decisioni pastorali. Richiamando l’immagine della pagliuzza e della trave, il vescovo ha ricordato il pericolo di una guida cieca, priva di misericordia e autocritica. «Una cosa vorrei dirti di cuore: non circondarti di yesmen, ma scegli persone mature e sagge. Il pastore ha bisogno di compagni di viaggio capaci di edificare e allenàti a portare gli zaini».
Infine, la valutazione dei frutti: «Non si raccoglie uva dai rovi», ha detto citando il Vangelo. Ma anche qui, il discernimento richiede profondità. Alcuni frutti «sembrano gustosi ma poi si sciolgono come neve al sole». Con un “segreto” del vescovo Filippo, rivelato da Brambilla: «hai coltivato un antidoto infallibile, per non diventare funzionario di Dio e per riconoscere la bontà dei frutti: hai amato le famiglie con le loro storie e le loro gioie, le loro fatiche e i loro drammi».
L’omelia si è conclusa con un invito personale e insieme ecclesiale: «Torna ogni tanto in questa Chiesa che ti ha generato, a raccontarci non i pettegolezzi vaticani, ma la grandezza di essere preti e vescovi per il Signore!».
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