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«Murakoze chanè! Grazie per il “lavoro” che hai fatto!». Suo nipote don Filippo ha scelto un’espressione nella lingua di quel Burundi che don Francesco Ciampanelli portava da sempre nel cuore e nella mente, per dare l’ultimo saluto allo zio morto a 94 anni domenica scorsa nella casa di riposo Divida Provvidenza.
Lo ha fatto nell’omelia al funerale celebrato dal vescovo e da tantissimi confratelli lo scorso mercoledì a San Giuseppe di Novara. Una chiesa gremita di molte persone che lo hanno conosciuto, gli hanno voluto bene e che, proprio nel ritratto che don Filippo Ciampanelli ha fatto, hanno ritrovato il prete missionario “d’altri tempi”, dal carattere deciso e a volte burbero – «ora sei in Paradiso, a brontolare con i martiri», ha scherzato il nipote – eppure capace lasciare un segno in chi lo incontrava.
Un ritratto dipinto in tre pennellate a colori pieni: parole in dialetto che lo definivano bene. «Punta i pè», punta i piedi, a raccontarne la volontà forte. «Taca buton», a dirne la capacità di ascolto e di relazione. E «Su da gir», a condensare in un’espressione la sua gioia nel ministero.
Poi tre pennellate a colori più tenui, questa volta in italiano, che ne hanno tratteggiato l’animo: «pregare», «sognare» e, appunto, «lavorare».

Il ministero sacerdotale e l’esperienza missionaria

E le preghiere, i sogni, il lavoro di don Francesco in oltre settant’anni di vita sacerdotale sono stati sempre tutti dedicati al servizio ai più bisognosi e all’annuncio del Vangelo. In diocesi di Novara e nei diversi luoghi di missione dove ha operato come fidei donum.
Don Francesco era nato a Novara il 27 aprile 1928. Ordinato da mons. Gilla Vincenzo Gremigni il 29 giugno 1951, aveva vissuto i primi incarichi come parroco in Valle Antrona, sino al 1959. Da quell’anno no fino al 1970 è stato parroco di Torrion Quartara a Novara, e Vice-Direttore dell’Ufficio Missionario, per divenire, dal 1965, Direttore delle Pontificie Opere Missionarie.
Per lui ha preso poi il via il lungo ministero missionario, alternato con alcuni rientri in Diocesi. Prima in l’Africa dove, dal 1970 al 1979 è stato parroco di Bugenyuzi, nella diocesi di Ngozi in Burundi. Poi in America Latina: dal 1980 don Francesco ha accolto la responsabilità della parrocchia di Chejendè nella diocesi di Trujillo in Venezuela, mentre dal 1987 al 1992 ha operato nella Prelatura di Ayaviri in Perù. È tornato una prima volta in Italia nel 1992, divenendo parroco di Barengo e Cavaglietto fino al 1997.
L’Africa però lo richiamerà come collaboratore alle parrocchie di Murehe e Rwarangabo in Burundi dove rimarrà fino al nuovo rientro nel 2001 quale vicario parrocchiale di Sant’Agabio in Novara. Ancora una tappa in Africa come collaboratore a Nyamurenza in Burundi dal 2003 al 2008, fino al definitivo rientro in Diocesi nel 2008, residente in Seminario e disponibile ai più vari incarichi, in particolare per il ministero della Riconciliazione in Cattedrale. Nel 2016 è stato accolto, quiescente, alla Pia Casa della Divina Provvidenza di Novara.

Da sinistra, don Francesco e don Filippo Ciampanelli

Il cordoglio del Papa e della Chiesa novarese

«Domandiamo al Signore che accolga la sua anima in Cielo dopo una vita consacrata, in territori cosi? diversi, alla sua Chiesa. Siamo vicini in questo momento ai suoi familiari, e in particolare a don Filippo e a don Maurizio Gagliardini», ha scritto in un messaggio alla diocesi il vicario episcopale per il clero e la vita consacrata don Franco Giudice, unendosi al cordoglio espresso anche dal Papa attraverso un messaggio del card. Parolin a don Filippo, impegnato da anni presso la Segreteria di Stato Vaticana.
A ricordarne la figura è stato anche il direttore del Centro Missionario diocesano don Massimo Casaro. «La sua – ha detto al nostro giornale – è l’esempio di una vita donata alla missione e in modo particolare alla missione in mezzo ai poveri e agli ultimi. Non solo attraverso le parole, ma soprattutto attraverso l’esempio e lo stile, capace di arrivare in modo diretto a tutti. È stato capace di spendersi in contesti tanto diversi come l’Africa e l’America Latina accettando le sfide dell’inculturazione. È stato un vero “dono della fede” per tanti».
Un dono che ha voluto indicare lo stesso vescovo, al termine del funerale: «Abbiamo bisogno di preti come lui, contenti di essere sacerdoti, capaci col loro esempio di incoraggiare i confratelli».

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