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Che i trattori abbiano assediato Roma e, contemporaneamente, Berlino, Parigi, Bruxelles e Strasburgo toglie ogni perplessità sul fatto che il problema siano gli stati nazionali. La protesta è contro l’Europa. E l’Europa è responsabile di procedure dove l’ideologia la fa da padrona sulla politica e sull’amministrazione. Spesso – come nel caso degli agricoltori – anche a scapito del buon senso.

Con che logica chiedere – per legge – di abbandonare la coltivazione di porzioni di terreno per lasciarlo incolto? Quale ragionamento contorto porta a considerare inquinante un allevamento di bestiame posto che, già 200 mila anni avanti Cristo, la natura più autentica era rappresentata da animali che pascolavano e, di conseguenza, facevano i loro bisogni? Nemmeno Jean Jacques Rousseau che, contestando il progresso, proponeva il “ritorno all’antico” suggerendo il modello del “buon selvaggio” aveva ipotizzato di fare a meno degli animali.

L’abolizione degli allevamenti – secondo l’ideologia green – verrebbe compensata da prodotti sintetici elaborati in laboratorio. Cioè con “costruzioni” prodotte da quella chimica che si vorrebbe bandire. E senza conoscere (non ancora perlomeno) quali conseguenze sulla salute dell’uomo porterebbe quel bombardamento di cibo sintetico.

Per questo, la protesta degli agricoltori ha movimentato la politica. Per la prima volta, da un po’ di tempo (finalmente) non si discute di candidature, giochi di potere e intrighi di palazzo, ma di questioni politiche. Semmai – almeno in Italia – la portata della protesta è stata depotenziata da una eccessiva frammentazione di sigle e da una classe politica che, dopo aver votato le misure contestate, cerca di contestarle assumendosi la responsabilità di dire tutto e il suo contrario.
Gli agricoltori lamentano le misure adottate dall’Europa riferite al cosiddetto pacchetto Green Deal e la riforma della PAC, approvata con leggerezza a Bruxelles senza badare che sarebbe il trionfo della burocrazia.

Mentre i contadini di casa nostra sarebbero costretti a procedure e limitazioni super-stringenti, il mercato dell’importazione lascerebbe libertà ai coltivatori extraeuropei di proporre i raccolti creati con le contaminazioni chimiche che, qui, vengono considerate pericolose. Perciò meno riso “buono” prodotto dalle nostre terre, più costoso e, quindi, meno concorrenziale rispetto a maggiori quantità di riso variamente “contaminato” da diserbanti di varia natura che l’Europa, altro che utilizzarli, non vuole nemmeno sentire nominare. Due pesi e due misure non vanno mai bene ma se i pesi e le misure sono anche così vistosamente sproporzionati diventano improponibili.

Questo doppio pedale di disposizioni si traduce in un gigantesco problema di concorrenza sleale. Se s’impongono delle regole di produzione ai nostri agricoltori, non possiamo tollerare di essere invasi da prodotti che arrivano da paesi che queste regole non le rispettano. Il pianeta non si salva pontificando dai palazzi di Bruxelles, ma confrontandosi con chi vive la realtà di tutti i giorni. Gli agricoltori sono i primi che dovrebbero essere consultati quando si parla di ambiente. Chi meglio di loro è in grado di conoscere certe problematiche?

In Europa, le decisioni sono state prese con la mediazione degli Stati, dei grandi gruppi di interesse o delle grandi associazioni di categoria. E tutti gli altri devono stare zitti come i sudditi di un tempo? Occorre costruire una rappresentanza diretta dei territori. Quando certe decisioni vengono adottate a livello europeo c’è dibattito politico? A livello italiano, si discute – per davvero – sulle misure europee che impattano sui nostri comparti produttivi più importanti? Chi va a Bruxelles deve conoscere il proprio collegio e farsi partecipe delle istanze e dei problemi degli elettori. Le candidature usate per fare spettacolo non aiutano a colmare questo enorme deficit democratico che la protesta degli agricoltori ha evidenziato.

La sostenibilità di una strategia ambientale deve tenere conto della realtà. Il che significa badare alle esigenze fondamentali di lavoro e di produzione e alle condizioni di vita reale dei cittadini europei. Si tratta di scelte relative alla politica agricola ma anche, ad esempio, per le misure che riguardano i motori a combustione, piuttosto che la certificazione energetica degli edifici. Per realizzare la cosiddetta transizione ecologica occorre avere tempo e risorse. Non è pensabile imporre oneri impossibili che mettono fuori gioco soprattutto i cittadini meno abbienti.

Roberto Cota

Roberto Cota

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