Il progetto del Comune di Verbania su palazzo Cioia a Suna per un importo di 5 milioni di euro riaccende i riflettori su un edificio che da tempo richiede di essere recuperato a favore della collettività. Un palazzo che parla di storia e che rappresenta un tesoro architettonico e artistico per la città. Questo patrimonio di bellezza è stato oggetto nel 2019 di una lunga e accurata ricerca da parte di alcuni studenti del Liceo Classico “Bonaventura Cavalieri” di Verbania, guidati dalla professoressa di storia dell’arte e beni culturali, Gabriella Prandi. Quello studio – presentato a suo tempo in un incontro pubblico – è ancora oggi un valido punto di partenza per comprendere a fondo la vicenda che ruota attorno al palazzo.
Come è nata professoressa l’idea della ricerca su palazzo Cioia?
«È nata per curiosità, passeggiando sul lungolago di Suna e guardando il palazzo, inaccessibile, di cui si vedeva solo il portale e si intravedevano l’androne e la corte interna. Sono sorte così tante domande sulla sua storia. Sui giornali avevamo poi letto che il consiglio di quartiere chiedeva al Comune di recuperare l’edificio e destinarlo a scopi sociali. La curiosità è aumentata e insieme a due studenti, con il permesso del Comune che ci ha dato le chiavi, abbiamo fatto un primo sopraluogo, per conoscerne gli interni».
Qual è stato il primo impatto?
«È emerso subito il fascino di questo posto. Se lo vedi all’interno ti rendi conto che è un edificio molto rimaneggiato. Della struttura originale conserva ancora alcune parti, ma poi vi sono i segni degli interventi eseguiti in epoche successive e anche relativamente recenti, basti pensare che prima della sua chiusura è stato sede di realtà associative e pubbliche. Nonostante tutto ciò e nonostante la sua decadenza, questo palazzo sembrava quasi che ci parlasse».
Viene spontaneo domandarle cosa vi abbia “detto”…
«Ci ha spronati a scoprire maggiori informazioni su di lui, a riportarne a galla la storia. Prima che il tempo e il degrado ne cancellassero per sempre la memoria e l’arte custodita. Avevamo infatti notato come alcuni affreschi stessero scomparendo. Abbiamo così iniziato a fare ricerca».
Come è andata?
«Diciamo che ci è andata bene, perché abbiamo trovato della documentazione. La cosa particolare è che non è una documentazione di tipo grafico, perché non esistono all’Archivio di Stato piantine o disegni del palazzo. Abbiamo riscostruito le origini, sfruttando un documento particolare».
Di che documento si tratta?
«È l’atto di vendita tra la famiglia Baldini, che ha posseduto per prima il palazzo, e la famiglia Cioia. In questo atto c’è un allegato dove sono elencati tutti i mobili e gli oggetti presenti nel palazzo. Attraverso questo documento siamo riusciti a riscostruire le destinazioni d’uso delle stanze dell’allora casa da nobile dei Baldini. Sono stanze che oggi non esistono più o che per lo meno non hanno più quella struttura originaria, tranne qualche piccola cosa. È stato un lavoro di ricerca importante, durato diversi mesi. Un grande grazie lo dobbiamo a Leonardo Parachini che ci ha coadiuvati, ci ha indirizzati nel reperimento dei documenti e ci ha guidati nei sopralluoghi. Questi ultimi sono stati fondamentali».
Ci aiuti a ricostruire la storia del palazzo…
«Come ho detto, i primi proprietari sono stati i Baldini. Da una tesi di laurea siamo risaliti alla figura di Giovanni Baldini, che esercitava la professione di notaio a Milano. La tesi citava un antenato di Giovanni, un certo Giovanni Antonio, signorotto che possedeva terre a Suna e possedeva una casa da nobile. Queste case erano abitualmente residenze che avevano una tipologia di architettura abbastanza codificata, tipiche dell’area lombarda».
È così anche per palazzo Cioia?
«Sì. Se si guarda il palazzo a come era in quel periodo – si parla dell’inizio del Seicento, non conosciamo la data esatta della costruzione – la tipologia è rinascimentale lombarda e riprende quella che era la struttura della domus romana. C’è il portale d’ingresso, l’androne, la corte porticata interna, la sala del piano terra che esce poi sul giardino terrazzato chiuso, che probabilmente in origine era più grande di quello attuale».
Servizio completo sul Verbano in edicola da venerdì 27 ottobre e scaricabile digitalmente da qui.