Noi non ricordavamo che quel sabato 15 giugno fosse il 250° giorno di guerra ma lui, Michel Sabbah, il novantunenne patriarca emerito di Gerusalemme, già Presidente internazionale di Pax Christi, che abita a Taybeh, l’aveva scritto quella mattina nell’incipit della sua preghiera quotidiana composta all’alba e affidata con una mail (riportata su bocchescucite.org) a chi in Paesi diversi del mondo avesse potuto divulgare una testimonianza diretta di denuncia rara nella sua coraggiosa parresia: “Troppo è durata l’oppressione impostaci dagli uomini a Gaza, Signore. Sono accecati, ostinati, senza cuore e senza umanità. Salva tu questa umanità perduta nello sterminio e nel genocidio e fa tua la nostra fame, la nostra sete, le nostre malattie, la nostra morte”. Lo abbiamo incontrato durante il pellegrinaggio di Comunione e Pace in Terra Santa cui ho preso parte nei giorni scorsi.
Dopo aver attraversato la zona a nord di Gerusalemme, piena di insediamenti israeliani, tutti illegali, arriviamo al villaggio e con calore ci accoglie il parroco don Bashir: “Benvenuti a Taybeh! Ma la nostra Palestina è questa prigione che vedete. In realtà è sempre più difficile vivere per noi sulla nostra terra se da decenni è stata occupata e colonizzata. Infatti ben prima del 7 ottobre non solo la guerra, ma anche la mancanza di diritti e ogni tipo di oppressione ci tolgono ogni speranza.”
Dopo l’ospitalità della comunità e delle suore, celebriamo l’Eucarestia e sul pullman del ritorno, passando per il check-point di Kalandia, in ognuno di noi risuonano le fortissime parole del Patriarca Sabbah. Era arrivato affaticato ma luminoso al nostro incontro in parrocchia, e ci aveva rivolto un grande discorso, un’analisi politica e una supplica di fede: “Oggi la guerra non è solo a Gaza. In tutta la Palestina i villaggi e le città sono nelle mani dei coloni che, protetti dall’esercito, aggrediscono, demoliscono, ammazzano o fanno prigionieri… ma se mille palestinesi vengono uccisi o fatti prigionieri, non se ne parla nei media, come fosse normale. La coscienza dell’umanità ha questa grande responsabilità… Vi ringraziamo che siete venuti per esprimere la vostra solidarietà con la persona umana che vive in Terra santa, sia israeliana che palestinese. Vi chiedete come si possono riconoscere e amare reciprocamente gli uni gli altri, invece di ammazzarsi. E’ importante annunciare che la riconciliazione non è solo una questione complessa ma anche un problema relativamente semplice. È difficile e complesso solo perché non c’è la volontà di trovare la pace. Noi palestinesi non veniamo da altrove, di generazione in generazione abitiamo la nostra terra. Sulla nostra terra chiediamo solo di poter vivere liberi in uno stato indipendente soltanto sul 22 % di tutta la Palestina. Ma ci viene detto: voi non avete il diritto di esistere. A Gaza non c’è solo una guerra. Passano i mesi e il mondo si sta abituando al massacro… Noi siamo in attesa che Dio pronunci la sua parola di verità su quanto sta accadendo. Dio ci vuole qui, come cristiani e come palestinesi. Nella nostra casa. Noi continuiamo ad amare tutti, israeliani, ebrei, musulmani, copti e tutti quelli che vivono accanto a noi. Viviamo già insieme e dobbiamo smetterla di farci la guerra per riconoscerci tutti fratelli, uguali e con gli stessi diritti. Noi palestinesi continuiamo a subire questa oppressione, ma siamo certi che l’ultima parola sarà l’amore”.
Don Renato Sacco, Consigliere nazionale di Pax Christi
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