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Ci sono luoghi, personalità, storie, che possono apparire minori e che, al contrario, hanno pesato sulle vicende del Paese.

Belgirate, Villa Carlotta, Gianmaria Capuani, una riunione di giovani democristiani e di ex partigiani. Settant’anni or sono (27 settembre 1953), veniva alla luce sul Lago Maggiore una realtà politica che avrebbe pesato in modo significativo sul partito egemone nel dopoguerra italiano, la Democrazia Cristiana e, dunque, sulla storia italiana.

La corrente interna al partito dei cattolici democratici avrebbe assunto il nome di “Base” e, a muoverla, era un’ansia di rinnovamento che, nel momento di crisi dell’esperienza degasperiana, con difficoltà a ripetere la coalizione centrista di governo (la legge elettorale maggioritaria, definita con sprezzo della verità “legge truffa”, non era scattata alle elezioni del 7 giugno per cinquantamila voti), puntava all’allargamento dell’area democratica dialogando con i socialisti. Protagonista, fra gli altri, un giovane novarese, Gianmaria Capuani, a lungo, più tardi, presidente della Camera di Commercio, al quale venne affidata la relazione introduttiva.

Presenti, fra gli altri, nomi che le cronache politiche dei decenni successivi avrebbero reso familiari, da Giovanni Marcora a Giovanni Galloni, entrambi poi ministri della Repubblica e vicesegretari del loro partito. La proposta politica della Base si inseriva nel dopo-dossettismo, avendo un interlocutore in quella stagione, Giuseppe Lazzati, membro della Costituente e, poi, direttore del quotidiano cattolico “L’Italia” di Milano e rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, fra gli ispiratori.

La preoccupazione che era stata all’origine della riflessione del gruppo di partigiani cristiani, che si riuniva regolarmente nel capoluogo lombardo, era rappresentata da segnali di involuzione – una frattura tra società e istituzioni – che essi coglievano nella vita della giovane repubblica e, dunque, la necessità di iniziative che valessero a sorreggere lo Stato democratico. Eravamo anche nel bel mezzo di una polemica sui rapporti tra Democrazia Cristiana e Azione Cattolica, quest’ultima guidata da Luigi Gedda, già presidente diocesano novarese della Gioventù Cattolica e i giovani “basisti” reclamavano l’acquisizione di una più netta coscienza laica per i cattolici impegnati in politica con l’affermazione dell’autonomia del pensiero politico del cattolicesimo democratico rispetto alla loro Chiesa. Il nuovo gruppo richiamò l’attenzione di dirigenti importanti, da Enrico Mattei a Ezio Vanoni, prematuramente scomparso nel 1956. Il cuore lombardo della neonata articolazione politica, si espresse con una forte spinta verso il sistema delle autonomie locali.

La Base si intestò la battaglia per l’attuazione dell’ordinamento delle Regioni, previsto in Costituzione e non attuato sino al 1970, con l’eccezione di Regioni a statuto speciale. Il dialogo con Giorgio La Pira avrebbe arricchito la visione di politica estera, aperta al Terzo Mondo. Nel frattempo si diffondeva nel tessuto della periferia democristiana e cattolica la presenza di gruppi ispirati alla Base, da Firenze, a Venezia, ad Avellino, a Cosenza.

E troviamo nomi di personalità che avrebbero poi onorato la Repubblica con il loro impegno: Ciriaco De Mita, poi presidente del Consiglio. Fiorentino Sullo, Camillo Ripamonti, Riccardo Misasi, Luigi Granelli, ministri, oltre ai già citati Marcora e Galloni. Parlamentari come Nicola Pistelli e Vincenzo Gagliardi; in Piemonte Gianaldo Arnaud. Presidenti di regione come Piero Bassetti. In tempi più recenti il presidente del Consiglio Giovanni Goria, il presidente del Senato Nicola Mancino, per segnalare altri protagonisti della vita pubblica.

La crisi contestuale delle presenze di De Gasperi e di Dossetti e la accennata crisi di rapporti con il mondo cattolico, apriva la strada ad interrogativi risolutivi: continuare l’impegno nella Democrazia Cristiana o guardare altrove? I “basisti” scelsero di essere voce critica nella DC. Furono i giovani ad esercitarsi in particolare dando vita a numerose riviste. Fra esse una particolarmente puntuta, dal titolo “Il ribelle e il conformista” dei giovani democristiani bergamaschi, animata, tra gli altri da Giuseppe Chiarante e Lucio Magri. Li ritroveremo più tardi dirigenti rispettivamente del settore culturale del Partito Comunista e tra gli animatori del Manifesto

La Base sarebbe stata protagonista di svolte significative nella vita del Paese, dal rinnovamento della classe dirigente, al tema delle riforme istituzionali in dialogo con l’opposizione di sinistra: un percorso quest’ultimo che, tuttavia, non portò a esiti concreti.

A Belgirate – divenuta poi, a lungo, tappa obbligatoria di convegni democristiani- ricorderà Capuani, in occasione dei cinquant’anni da quell’iniziativa, sul bel volumetto di Interlinea intitolato “L’autonomia politica dei cattolici”, si partì, nella sua relazione, dal famoso Rapporto Beveridge che tracciò, a partire dalla Gran Bretagna, il rapporto esistente tra Welfare State – dunque tra coesione sociale – e democrazia, per inverare i principi della nostra Costituzione. Capuani divenne poi il primo segretario provinciale democristiano d’Italia che si ispirasse alle posizioni della Base, affiancato dall’inseparabile Pierluigi Cassietti.

Quella della Base è stata una presenza che, dal Congresso di Napoli del 1954 avrebbe segnato la vita, sino alla conclusione della sua parabola politica, della Democrazia Cristiana e quella della Repubblica.

Gianfranco Astori

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