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Li chiamava i «santi degli abissi». Uomini e donne segnati da scelte sbagliate – prese o subite – che la vita aveva ferito con dipendenze, povertà e solitudine. Ma che dal quel fondo nero erano stati capaci di cercare e trovare uno spiraglio di luce dello spirito. E poi i «santi delle vette»: Madeleine Delbrêl, Charles de Foucauld, Simone Weil, che con i loro scritti e il loro esempio avevano saputo mostrare la strada del Signore.

Padre Fiorenzo Fornara sceglie di raccontare attraverso di loro la figura di padre Mario Airoldi al funerale, a Boca gremito da tantissime persone che si sono riunite per dare l’ultimo saluto al sacerdote scomparso lo scorso lunedì. A presiedere, con il vescovo impegnato a Roma per la visita ad limina da Papa Franceso, il vicario generale mons. Fausto Cossalter, mentre il ricordo nell’omelia è affidato proprio a padre Fiorenzo. Con padre Mario ha condiviso gli ultimi dieci anni di servizio al santuario.
«Amava ripetere, parafrasando Paolo VI, che oggi abbiamo bisogno di maestri credibili in quanto testimoni – racconta -. Ecco, per lui queste persone erano i santi mistici. Quelli che sapevano “volare in alto”. Maestri che ci aveva donato il Signore e che sarebbe stato un torto dimenticare». Dei loro ritratti aveva la casa piena. Come si fa con le foto di amici o di persone di famiglia. «Amava anche citare figure più attuali, più vicine nel tempo. Quasi suoi coetanei: don Lorenzo Milani, don Pino Puglisi o Annalena Tonelli».

Ma è dal rapporto quotidiano con gli ultimi, i fragili e coloro che soffrivano che padre Mario “imparava” a vivere il Vangelo. «Come quella ragazza di Trobaso, rimasta tetraplegica giovanissima per un incidente. Era arrabbiata con tutti, anche con Dio. Padre Mario l’ha ascoltata e le è stato vicino. Non è stato facile. Ma poi lei, piano piano, ha saputo riconciliarsi col Signore e con la sua vita». A una condizione. «Gli ha detto: “io pregherò, ma non come una mendicante. Che chiede la carità di essere sollevata da un dolore. Lo farò come un’innamorata”», che liberamente accetta di farsi amare a sua volta. «Ecco, questo insegnamento che aveva imparato, padre Mario lo viveva e lo ripeteva spesso: “pregate come innamorati”».

E poi la sua amicizia con un uomo che viveva il dramma dell’alcolismo. «Dopo una nuova ricaduta, c’era stato un durissimo litigio tra loro. Ritiratosi in chiesa a pregare, lo aveva scorto, senza che lui lo potesse vedere. E ascoltando le sue preghiere, il suo dolore, padre Mario aveva capito come nella debolezza e nella fragilità avesse compreso, si fosse pentito e già il suo cuore fosse cambiato».

E infine quella ragazza madre, additata da tutto il paese, che per tenere la sua bambina aveva dovuto scegliere di prostituirsi. «E che non si sentiva degna di fare la comunione. Ma nella sua umiltà e semplicità padre Mario ha saputo scorgere il coraggio e la forza della fede».

Nell’ultimo periodo padre Arioldi non poteva più parlare. Ma era ancora lucidissimo. «L’ultima testimonianza è stata come ha affrontato la morte. Chi vive da cristiano, muore da cristiano».

L’articolo integrale si può trovare nelle pagine dedicate a padre Mario, accanto alle notizie della Diocesi di Novara, sul nostro settimanale, in edicola a partire da venerdì 26 gennaio. Il settimanale si può leggere anche online, abbonandosi o acquistando il numero cliccando direttamente sopra a qui

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