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Se le culle restano vuote, quale mamma si festeggia? L’’inverno demografico degli ultimi anni fa registrare numeri e percentuali da bollettino di guerra. Il resoconto Istat indica che le nascite sono ferme al minimo storico di 400 mila unità. Tante parole sono state spese su questo tema.

Ci si è accorti finalmente che il calo della natività costituisce l’anticamera di un futuro senza più giovani cioè privo di forza lavoro e di previdenza sociale. Le culle vuote sono l’anticipazione di un Paese grigio e paralizzato.

A fronte delle tante parole spese in quest’ultimo periodo, ben poco è stato fatto per invertire la rotta. Come rilevano i maggiori demografi, i timidi e transitori bonus bebè non hanno contribuito a persuadere i giovani a diventare genitori. Vero che l’aspetto economico non è il solo a incidere sulla denatalità. Ma è altrettanto vero che l’ambiente culturale può modificarsi anche sulla sorta di scelte politiche strutturali. Aiuterebbe a riempire le culle qualche misura fiscali favorevole alle famiglie, specie a quelle numerose, servizi per aiutare la conciliazione dei genitori con il lavoro, assegni di natalità non basati sul reddito. Interventi costosi che non hanno un impatto immediato sul consenso, incompatibili con una classe politica che vive di sondaggi e di ciò che l’opinione pubblica desidera qui ed ora. Eppure è la strada perché più donne italiane possano vantarsi (come Cornelia) di avere nei figli i loro “gioielli”. 

La mamma (di cui domenica si celebra la festa) rappresenta il fulcro della famiglia. E non sempre per volontà sua. Ma piuttosto perché il patriarcato ha “volenterosamente” lasciato nelle sue mani la maggior parte degli oneri educativi di cui una famiglia aveva (e ha) bisogno. Non per sua scelta ha dovuto farsi carico di tutte quelle problematiche che includevano il “servizio”. Per gli uomini, questa parola ha sempre avuto come significato uno sminuirsi: una sorta di “resa” davanti all’altro bisognoso di cure, un “sacrificarsi” inutile (nell’economia dei soldi). Questo ruolo di mamma intesa come ultima spiaggia a cui il debole si affida è stato poi ammantato culturalmente (forse per un inconscio tentativo di riparazione) da un’aureola di finto apprezzamento: dunque poesie e feste, canzoni e fiori, regali e lacrime di commozione.

Fino alle metà del secolo scorso, in una civiltà prevalentemente contadina, alla madre era chiesto di essere docile alla fecondazione, di soprassedere al fatto che il carico di figli l’avrebbe distrutta fisicamente (e psichicamente) di inchinarsi alle voglie sessuali del marito. All’interno della grande famiglia che va riscattata da un’immagine spesso idilliaca (e quindi falsa) tutto lo sforzo dell’ accudimento era suo.

Negli ultimi anni è cambiato tutto ma non per le mamme. Anche se la famiglia non è più grande e vive barricata nel “privato”. Anche se il matrimonio è per amore. Anche se si hanno più soldi e più comodità. E’ lei – quasi sempre sola – quando si presenta a scuola per sapere che fa suo figlio. Sola nel parlatoio del carcere, se il figlio è recluso. E quasi sempre la sola che, se il figlio si droga, cerca aiuto, lo accompagna, lo ama comunque. E quasi sempre sola quando si parla di educazione religiosa.

La figlia/mamma accudisce (ancora) i genitori anziani, i suoceri vecchi, i parenti disabili, i figli malati e la mamma/ nonna è (ancora!) sempre pronta ad accogliere i nipoti anche quando le forze sono al limite. Tutto ciò con la scusa che le donne ci sanno più fare, capiscono subito e si attivano in fretta.

La cosa nuova – e diversa – è che la mamma ora lavora anche fuori casa. Ma anche lì, dove il suo talento dovrebbe essere considerato, che succede? Il suo stipendio è inferiore a quello dell’uomo, deve sopportare il capo umorale, difendersi dai colleghi che le impongono commenti e apprezzamenti non sempre graditi, essere criticata perché è ancora incinta, avere il dono dell’ ubiquità, mezza testa in ufficio e l’altra mezza a casa/scuola/ ospedale/ casa di riposo. Una trappola l’essere considerate indispensabili/ generose/ sempre pronte.

A ben vedere, la festa della mamma serve per scaricarsi la coscienza, dimostrare un affetto quanto meno interessato, allinearsi al pensiero comune che si possono riparare le ingiustizie con le “cose”, i soldi e le belle parole.

Laura Fasano, Vice direttore Emerito de Il Giorno

Laura Fasano,

Vice direttore emerito de Il Giorno

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