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La seconda puntata della nostra rubrica dedicata al Giubileo della Speranza, “Anno di Grazia”. Un piccolo approfondimento e una breve meditazione sui temi che l’Anno Santo mette al centro del percorso della comunità ecclesiale, sulle sfide per tutta la società civile e su come ogni fedele può essere interrogato dalla “Speranza che non delude”.

Nell’esperienza del popolo di Israele, il Giubileo è scandito in tre momenti: la sua origine, la sua legge, la sua speranza.

La sua origine

Dopo la traumatica esperienza dell’esilio babilonese (587-530 a.C.), in cui il popolo di Dio è stato privato della propria terra, del tempio, del regno e del suo essere nazione, i profeti aprono un orizzonte di liberazione e di speranza. Il profeta immagina un ritorno di gioia e proclama un “anno di misericordia”, che ha due dimensioni: la liberazione e la consolazione (Isaia 61,1-3a). La liberazione è dai mali fisici, dalla condizione di schiavitù; la consolazione è una trasformazione che fa passare dal lutto alla gioia. Tutta la creazione è coinvolta in questo processo di libertà del popolo.

La sua Legge

Nel Libro del Levitico questa esperienza del ritorno dall’esilio diventa Legge e va ripetuta ogni 50 anni. Nelle culture antiche del vicino oriente, il ciclo lunare era scelto come criterio per segnare il tempo: la settimana assume, ancor prima della legislazione giudaica, un carattere religioso. Il Signore segna i tempi di lavoro e di riposo, già nella creazione (Gn 1). Anche le feste del calendario ebraico sono segnate dai sette giorni. Tale è la durata della festa degli azzimi e di quella dei tabernacoli. In particolare, la festa ebraica di Pentecoste (cinquantesimo giorno) o festa delle settimane è celebrata sette settimane dopo il sabato della Pasqua (Lv 23; Es 34; Dt 16).

Il termine “giubileo” deriva dall’ebraico jobel che significa corno d’ariete. Tale corno era adoperato come tromba, il cui suono indicava a tutti l’inizio dell’anno giubilare: il cinquantesimo anno (Levitico 25,8-10). La legge di Israele non poteva tollerare la durata a vita della schiavitù, così come era praticata presso altri popoli; né poteva permettere che, per indebitamento e per povertà, una famiglia o un padre fossero privati per sempre della loro terra, giacché la terra è di Dio ed è dono per l’uomo.

Il Giubileo fu praticato in Israele? Si discute molto se esso fosse praticabile e realizzato. Alcuni ritengono che sia stata un’utopia che proponeva per ogni generazione l’ideale di un ritorno all’uguaglianza. Ma l’orientamento era chiaro: il Giubileo interpellava ad accogliere il dono di Dio e a promuovere una cultura di liberazione.

La sua speranza

La letteratura biblica tardiva proietta la sua visione sul futuro escatologico e annuncia la liberazione finale del popolo di Dio. È la profezia di Daniele delle settanta settimane (Daniele 9,24), cioè di un calcolo convenzionale di dieci periodi giubilari.

Ecco il significato permanente del Giubileo: ogni generazione può ravvivare l’attesa e la ricerca del Signore, del dono che Dio fa di sé, di una novità di vita in cui liberazione, consolazione, riposo dicono per sempre la presenza della misericordia che Dio ha su ogni persona e su ogni popolo. Possiamo raccogliere anche oggi questa sfida?

Mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara

L’articolo integrale, con altre notizie dal territorio della Diocesi di Novara, si può trovare sul nostro settimanale in edicola a partire da venerdì 4 aprile. Il settimanale si può leggere abbonandosi o acquistando il numero che interessa cliccando direttamente qui.

Tutti i testi della Rubrica sul Giubileo sono raccolti nella pagina dedicata.

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