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Dalla fine degli anni Cinquanta del Novecento (e poi per diverso tempo) citare Mario Manfredda voleva dire richiamare il sindacalismo bianco della Cisl novarese. Ma anche il contrario: riferendosi alla Cisl di Novara automaticamente emergeva la figura di Mario Manfredda.

Dal circolo “Papini” alla Resistenza

Assoluto protagonista del sociale, classe 1920, vive la sua giovinezza, partecipando a un vivace circolo cattolico – il Papini della parrocchia di San Marco – capace di plasmare diversi personaggi, destinati a mettersi in mostra nel panorama politico anche nazionale.
In questo ambiente, tempra la sua personalità, facendo propri non solo i valori religiosi ma cogliendo fino in fondo l’essenza del pensiero sociale della Chiesa.
È durante questo periodo che riflette sul valore della democrazia e sulla necessità di combattere i totalitarismi, in particolare il fascismo.

A questi ideali Mario Manfredda (nella foto a sinistra) aderisce con entusiasmo. Entusiasmo che gli resta nel sangue. Quando la Resistenza novarese imbocca la strada dell’azione pratica, scende in campo in prima persona. Nei documenti storici dell’Istituto della Resistenza, esistono tracce inequivoche della sua partecipazione attiva. Il suo nome di battaglia è Ten. Mario e, con altri componenti dell’Associazione Papini, non si tira indietro nemmeno quando c’è da rischiare: come nell’azione di Sambuchetto (il 4 agosto 1944). Per essere preciso: la sua presenza si nota sempre in azioni pericolose.

E questo, a distanza di tempo, giustifica il suo impegno per costruire l’Istituto storico della Resistenza, assumendo anche qualche incarico direttivo.

L’impegno politico con la “base” della Dc

Come per molti partigiani cattolici, finita la guerra e usciti dalla clandestinità i partiti, anche Mario Manfredda avverte la necessità d’impegnarsi in politica. Aderisce alla Democrazia Cristiana, subendo il fascino di Dossetti, La Pira e Lazzati.
Alla fine degli anni Cinquanta, lo troviamo nel Comitato Provinciale del Partito, schierato nel gruppo della sinistra che ha in Pastore e Capuani due significativi esponenti: l’uno espressione della sinistra sindacale cattolica, l’altro “voce” di quel mondo progressista legato all’innovazione tecnologica che nella Democrazia Cristiana è interpretato da una corrente, la Base.
Resta nel partito fino a quando l’incompatibilità tra incarichi sindacali e politici diventa regola gli impone di scegliere. E lui sceglie il sindacato.

Manfredda crede in un sindacato in grado di ottenere non solo risultati economici. Vede un organismo capace di far crescere la classe operaia in termini globali.

Le radici del suo ragionamento stanno nell’“Umanesimo integrale”, così come proposto da Maritain. Per questo, con sincera soddisfazione, commenta il rinnovo di contratti che, oltre i miglioramenti salariali, prevedono riconoscimenti in ambito sociale come il “diritto allo studio” (previsto con le “150 ore”).
Manfredda dunque – e sotto quest’aspetto dimostra di essere allievo di Pastore – crede in un sindacato come forza viva della società. Con questa convinzione, occupa ruoli importanti nella Cisl: fino al 1973, segretario provinciale di Novara e poi (fino al 1981) segretario regionale, provvedendo a gestire, a Torino, una struttura che deve incominciare ad interfacciarsi con l’ente Regione che, da poco, ha iniziato la sua attività. Anni non facili che vengono dopo l’autunno caldo, incubatore di momenti ad alta tensione.

Mediatore fra “anime” e “linee” divergenti

Merita di essere ricordato il suo ruolo all’interno della Cisl dove s’impegna per mantenere unito il suo sindacato quando si manifestano segnali di rottura.
In effetti, le varie anime della Cisl, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, non sempre esprimono la stessa linea politica. Pur partendo tutte da principi cristiani, delineano almeno due percorsi: uno più ispirato a una visione di iniziativa solo Cisl, con la propensione a legarsi alla Democrazia Cristiana (ipotizzando anche l’espulsione di chi non condivide questa impostazione) mentre l’altro sembrerebbe più “aperto”, disposto alla collaborazione con le altre centrali sindacali e disposto, addirittura, a valutare la proposta di fusione con Cgil e Uil.

Consapevole dei rischi che possono derivare da una scelta drastica, si prodiga per ricucire istanze anche distanti per tenere insieme l’organizzazione.

Una visione cristiana per “costruire l’uomo nuovo”

Interessante la testimonianza di Diego Caretti (favorevole alla fusione) che gli riconosce il ruolo di efficace mediatore: “Manfredda aveva capito che si doveva puntare al cambiamento”.
Per Manfredda, il termine “unità” ha anche un altro valore che risente della nuova mentalità che si sviluppa dopo il Concilio Vaticano II nel mondo cattolico. È una impostazione che prevede un nuovo tipo di presenza nella società del cattolico. Che non deve limitarsi a immaginare un mondo cristiano ma contribuire, con altri soggetti, alla creazione di una nuova realtà portando il proprio bagaglio di valori mutuati dal Vangelo.

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