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Un duomo affollato da oltre mille fedeli, una celebrazione che ha visto unita la comunità diocesana con l’Istituto della Carità di Antonio Rosmini e una festa che ha coinvolto tanti giovani degli oratori dove gli ordinandi hanno maturato la loro vocazione e hanno vissuto il loro cammino di avvicinamento al sacerodozio.

Sono stati cinque i nuovi sacerdoti che il vescovo Franco Giulio ha ordinato questa mattina in cattedrale a Novara. Tre arrivano dal Seminario di Novara: don Lorenzo Armano (della parrocchia di san Giovanni Battista di Alagna); don Samuele Bracca (della parrocchia di san Pietro a Casalvolone) e don Luigi Donati (della parrocchia del Sacro Cuore e di san Quirico a Domodossola).

Due appartengono all’Istituto della Carità di Antonio Rosmini: padre Camille Temon-Lenguewo e padre Anselmo Elman Mammadov.

Al rito hanno preso parte numerosi sacerdoti novaresi e rosminiani, tra i quali procuratore generale dei rosminiani don Claudio Papa.

«Oggi viviamo un tempo di “passioni tristi”», ha esordito il vescovo nella sua omelia, citando l’opera dei filosofi Miguel Benasayag e Gérard Schmit che parla di un’epoca nella quale i giovani sperimentano una diffusa sensazione di impotenza «alla quale abbiamo reagito fornendo loro come “un’armatura”: alimentando la convinzione che l’essenziale oggi sia attrezzati a difendersi da un futuro aggressivo». Un’immagine accostata al commento del brano scelto – inusualmente – per la prima lettura: il primo capitolo dell’Ecclesiaste, con la famosa espressione “vanità delle vanità, tutto è vanità”. Eppure, ha detto il vescovo, «il mondo è diverso. Basta comprenderlo, volergli bene e stargli vicino».

«Comprendere» e «stare» sono dunque le prime due parole chiave che Brambilla ha detto agli ordinandi citando la vicenda biografica di Rosmini, «un uomo che ha vissuto nei primi 50 anni dell’800, un periodo di grandi sconvolgimenti, impegnandosi, pagando le proprie scelte e le proprie idee, espresse in un’opera veramente profetica come è stata “Delle Cinque piaghe della Santa Chiesa”. Ecco, pensando a lui, noi oggi come possiamo essere spaventati dal presente».

Poi l’invito forte, che il vescovo fa risuonano ogni volta che parla ai preti giovani: «non si può essere preti da soli». Ad insegnarlo anche anche la pagina di Vangelo ascoltato durante la liturgia, quella di Marco sui preparativi sulla Pasqua: «dove Gesù invia i discepoli a preparare per “mangiare la Pasqua”. Questo è la missione dei sacerdoti. Ma non la svolgono da sola. Nel racconto a mostrare la strada ai discepoli è un uomo con la brocca. Anche voi dovete saper incontrare un “uomo con la brocca” dal quale farsi accompagnare». Un appello, quindi, a non mettere se stessi al centro del ministero, «ma anzitutto la Pasqua, l’Eucaristia, che preparate».

Ed infine, la seconda lettura tratta dalla lettera di Giacomo: “a che serve se uno dice di avere fede, ma non ha le opere?”. «La fede – ha sottolineato Brambilla – non è solo un sentimento. È pratica e vita. E le cose fondamentali della vita si “fanno”, non si “sentono” solamente. E le opere della fede sono quelle mosse dall’amore. Pensate a Rosmini, uno dei più grande intellettuali della sua epoca: chiamo il suo istituto “della Carità”».

Dunque, alla fine, un augurio affettuoso: «vi auguro che siate preti dalle opere che mostrano la vostra fede».

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