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Disinteressati alla religione, lontani dalla comunità ecclesiale, ma con un bisogno di spiritualità che in certe forme è ancora forte e che per essere intercettato richiede nuove strade. È il rapporto con la fede dei giovani che è emerso lo scorso sabato all’assemblea di pastorale giovanile di Borgomanero sul tema “La fede alla prova dei giovani”. Ospiti la sociologa dell’università cattolica Rita Bichi – esperta del mondo giovanile e autrice con Paola Bignardi della ricerca “Dio a mondo mio” –  e il frate cappuccino Roberto Pasolini, animatore a Milano del percorso di catechesi “Dieci parole”, dedicato ai comandamenti.

Una spiritualità senza Dio

Lontani da una dinamica – propria dei loro genitori o nonni – di contestazione della religione e della Chiesa, poco coinvolti nella vita di parrocchie o associazioni, il quadro che ha disegnato Bichi è quello di una generazione non solo «distante», ma anche «indifferente» alla questione religiosa. «Alcuni punti di riferimento per i giovani restano quelli di sempre: la madre, la scuola, il “gruppo dei pari” e sempre di più i social. Ma scompaiono la Chiesa e la pratica religiosa dai loro orizzonti», ha detto la sociologa, con una sottolineatura: la distanza dalla religione non è in sé e per sé una distanza dalla ricerca spirituale, «ma dall’istituzione Chiesa che ha perso ai loro occhi credibilità. Dopo una piccola inversione di tendenza, con l’elezione di papa Bergoglio, questo è un trend ormai consolidato. I perché? Gli scandali, le numerose sollecitazioni cui la società li sottopone, il contesto culturale sempre più globalizzato, che per loro è mediato dal web, che diventa lo spazio attraverso cui leggere e interagire con il mondo». E così, se la dimensione spirituale non muore, «diventa una spiritualità che sempre meno a che fare con il divino. E sempre più individualista». Lo scotto da pagare per questo individualismo è il rischio dell’«isolamento» e del sentirsi soli in una «società della performance, che chiede, esige sempre di più da loro».

Autenticità e cambiamento

Di fronte a questo scenario, sono due le parole chiave che ha proposto fra Pasolini: «autenticità» e «cambiamento». La prima ha che fare con il tipo di narrazione che è stato proposto loro, «raccontando il mondo come un salotto – ha detto il cappuccino -,  alimentando un ottimismo superficiale e non autentico, sorvolando sulle fatiche, sul dolore. E così facendo abbiamo mancato di intercettare le loro domande di senso più profondo, non siamo stati capaci anzitutto di dire loro parole di umanità vera». Per fra Roberto, «il nostro stile, la nostra proposta si è mondanizzata, si è come annacquata per paura di perderli e forse per questo alla fine li stiamo perdendo». Un dato che lui ha toccato proprio nelle catechesi sui comandamenti, «proponendo loro una legge, che è la legge del Signore, non un vago messaggio. Ma una legge che è per loro, che libera e che definisce lo spazio della vera libertà». Accanto a questa urgenza di recuperare l’autenticità del messaggio cristiano, serve però cambiare approccio ai giovani e serve un nuovo stile di pastorale. «Non credo che dobbiamo allarmarci perché non vengono a Messa – ha detto il frate rispondendo ad una domanda dal pubblico -. La celebrazione eucaristica, proprio perché è il culmine della vita cristiana, può anche non essere il punto di partenza di un percorso di incontro col Signore. Ma quello che è importante è che qualsiasi strada scegliamo (la preghiera, il gruppo giovanile, le catechesi), abbia un nuovo stile, sia capace di avere uno sguardo di fiducia su di loro, di dire parole che risuonino nelle loro vite».     

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