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Leggiamo sempre in Giovanni: «In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre: quello che egli fa, anche il Figlio lo fa. Il Padre, infatti, ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste e voi ne resterete meravigliati». (Gv 5,19-23). 

E per la stessa ragione, all’apostolo Filippo che gli chiedeva: «Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8), Gesù ha risposto: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse» (Gv 14,9-11).

È precisamente questo impegno che consente agli uomini di riconoscere Gesù come il loro prototipo, cioè colui che sta nell’ubbidienza alla propria identità filiale/fraterna.

Per questo ubbidire alla “volontà” di Dio senza ubbidire alla sua verità, cioè ubbidire a Dio a prescindere dal Figlio, cosa sempre possibile agli uomini, significherebbe re-instaurare quel rapporto di dominio che Dio, sulla croce, ha radicalmente confutato. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che è proprio questo tipo di “ubbidienza” che rende possibile il coinvolgimento di Dio nelle scelleratezze umane. E la storia, anche la storia cristiana, ampiamente lo testimonia.

C’è, infatti, un modo di pensare Dio che dà all’uomo il potere di giudicare, di condannare, di uccidere, e  un modo di conoscerlo che il potere glielo toglie, o meglio, glielo restituisce purificato. Scrive Olivier Clément: «Ogni uomo per il fatto stesso della sua esistenza, detiene un potere, è potere. Ogni uomo si afferma di fronte al nulla e di fronte all’altro. In virtù del suo essere stesso, egli esercita un’azione sul suo ambiente e sul mondo. Il racconto simbolico delle origini, nella Genesi, sottolinea questo potere: “Dio disse: facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, … e domini” (Gen 1,26). “Dio creò l’uomo a sua immagine… maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: … riempite la terra, soggiogatela e dominate…” (Gen 1,27-28). Il vocabolario della sovranità non deve essere interpretato qui nella prospettiva della nostra caduta, cioè di una violenza distruttrice, ma in una prospettiva eucaristica, di trasfigurazione. In quel dono di un potere creatore risiede la somiglianza originaria dell’uomo con Dio. Una forza buona, vivificante, gli viene offerta. La paternità/maternità che assicura al bambino gli apprendimenti indispensabili – e innanzi tutto quello del linguaggio – tra l’ascesi e la tenerezza, la distanza e la vicinanza; il potere nella società, per assicurare un minimo di ordine e di pace, che permetterà la trasmissione di una cultura, di una memoria, e dunque la volontà di un avvenire comune; la conoscenza e la creatività come tensione alla bellezza e alla spiritualizzazione del mondo – tutto questo è potere, sovranità dell’essere, come il libero slancio di un cavallo o la forte stabilità di un albero. Con in più, nell’uomo, la coscienza e il linguaggio, il linguaggio come apertura di coscienza, capacità di fare del mondo un’offerta e una condivisione, un dialogo degli uomini tra di loro e con Dio».

Non potremmo, allora, indivuare in questa volontà di risignificazione del potere umano la ragione della strenua opposizione che Gesù ha dovuto subire nel corso della vita pubblica? Il Dio di Gesù, infatti, lascia agli uomini solo il potere di dare la vita, mentre loro, i suoi oppositori, tutti gli oppositori, a qualunque nazione o popolo appartengano, a qualunque principio o ragione s’appellino, vogliono solo quello di potersela garantire. Anche a costo di toglierla agli altri. In effetti, ubbidire alla volontà di Dio senza ubbidire alla sua verità, equivale ad affermare sé stessi.

Ebbene, in questo, precisamente in questo il martire è un testimone. Rimane dentro le cose, dentro i rapporto nello stesso modo in cui lo è stato il suo Signore. 

Ubbidisce e così pone un Altro come sigillo sul cuore del mondo (Evdokimov).

Padre Massimo Casaro

Don Massimo Casaro, direttore del Centro Missionario Diocesano

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