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«Una storia di successo, un lieto fine in un mondo di tragedie e notizie pessime». Così Franco Zanetta, presidente della Fondazione BPN per il Territorio ha salutato l’importante traguardo della ricerca novarese nella sperimentazione della molecola RNS60 contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica.

Risultato della collaborazione tra Struttura di Neurologia del Prof. Roberto Cantello e Istituto Mario Negri di Milano, lo studio – durato 3 anni – è stato condotto su 142 soggetti in 22 centri italiani dalla prof.ssa Letizia Mazzini, responsabile del Centro Esperto SLA dell’Ospedale Maggiore di Novara.

L’elaborazione del protocollo clinico per testare la biomolecola ha potuto contare su fondi provenienti dagli Stati Uniti e sul sostegno di enti novaresi. Le americane ALS Association, ALS Finding a Cure e Revalesio Corporation, che ha fornito il farmaco, infatti, hanno finanziato lo studio imponendo comunque l’utilizzo di somme importanti italiane e l’affiancamento con l’Università di Harvard, nel Massachussets.

Con Fondazione BPN per il Territorio, Fondazione Comunità Novarese e le  associazioni URSLA-Uniti per la Ricerca sulla SLA e Get Out Onlus (quest’ultima fondata a Benevento da Lorenzo Capossela per la moglie colpita dalla malattia) hanno raggiunto l’obiettivo dei 400mila euro.

Soddisfazione del direttore generale dell’Ospedale Maggiore, prof. Gianfranco Zulian, per la presenza a Novara di un Centro specifico in questo ambito, nel quale si è testato il brevetto americano impiegato per alcune patologie neurodegenerative, ma non ancora per la SLA.

«Questi risultati non rappresentano un fatto episodico – ha aggiunto il prof. Roberto Cantello – ma fanno parte di una lunga catena. Colpisce il fervore della ricerca, in un contesto non facile per la sorta di crisi in cui si trovano le neurologie piemontesi». 

Ampia condivisione del progetto e dei suoi sviluppi promettenti da Emanuele Caroselli, consigliere Fondazione Comunità Novarese, e Edoardo Ferlito di URSLA.

«Alcune ricerche non partono per la mancanza di fondi», ha  concluso la prof.ssa Mazzini. «Il contatto con la ditta che produce particelle di ossigeno ingabbiate ha portato un grosso finanziamento dalle associazioni americane».

I risultati della sperimentazione sono positivi, soprattutto sulla funzionalità respiratoria dei pazienti. «E’ la causa di morte in 2-5 anni del soggetto. Con somministrazioni settimanali si riesce a migliorare la funzionalità e si ha effetto sulla deglutizione».

Dopo la verifica dei risultati preliminari italiani negli Stati Uniti, il farmaco potrebbe essere a disposizione già nella primavera 2024.

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