Paolo Bonomi era un bambino di 6-7 anni e ogni mattina camminava spedito nella pianura novarese, sulla stradina di campagna che separava “Il Boscaccio” da Romentino. Lasciava il cascinale alle prime luci dell’alba per raggiungere la scuola in paese. Durante i mesi freddi, quando gli inverni sfoggiavano i galloni da Generale, il paesaggio si faceva spettrale. Una Siberia: campi innevati o ricoperti di brina, gli alberi dalla galaverna. Era nato nel 1910 e allo scoppio della Grande Guerra, con gli uomini al fronte l’agricoltura era stata consegnata alle donne che accudivano anche la prole. Il piccolo Paolo, che aveva tre fratelli, era figlio di Eugenio, agricoltore nella valle del Ticino, e di Giovanna Caccia. La famiglia, lasciata l’azienda del “Boscaccio”, poi si era trasferita nella frazione Villanova di Cassolnovo, luogo mitico, dove nel Rinascimento Ludovico il Moro coltivò la prima risaia italiana. Da qui la scuola distava un’ora di cammino. Ma questa è un’altra storia.
Quella di Bonomi, invece, si chiama Coldiretti. Il sogno, forse abbozzato in quelle mattine gelide pestando fango e neve mentre ripassava le tabelline, perché mamma e papà ci tenevano che sapesse fare almeno di conto.
Ma Paolo sognava e guardava oltre. Non aveva terminato le elementari, quando fu avviato al lavoro nei campi, dove urgevano braccia per condure buoi e zappare. Il maestro gli portava libri a casa, aveva intuito che in quel bambino c’erano i cromosomi di un talento da non sprecare. Ecco, la storia della Coldiretti, la più grande organizzazione agricola d’Italia e d’Europa (un milione e seicentomila iscritti) è nata così prima ancora di essere fondata: nel cuore e nell’anima del “bambino del Boscaccio” che oggi la sua Romentino celebra.
Non sapeva che cosa sarebbe diventato da grande. Ma una cosa se l’era ficcata in testa: avrebbe fatto di tutto per riscattare quel mondo da “albero degli zoccoli”, dare dignità alle donne e agli uomini che lavoravano a schiena piegata perché la terra è bassa e spesso avara di gratitudine. Crescendo, studiando e lavorando, aveva cementato quella convinzione sino ai giorni in cui la futura Coldiretti prende corpo. Siamo nel 1943, in piena guerra. Bonomi, che aveva aderito all’Azione Cattolica, a Roma incontra Alcide De Gasperi e comincia ad abbracciare la Resistenza. E’ un giovane agrimensore che a causa della guerra ha dovuto abbandonare gli studi di Economia all’Università di Torino.
Proprio per la sua vicinanza al mondo rurale, il Governo Badoglio gli conferisce l’incarico di commissario della Federazione dei coltivatori diretti. E’ il primo passo che lo porterà, un anno dopo, nell’ottobre 1944, alla costituzione della Coltivatori Diretti vera e propria. Ancora clandestina, ma già strutturata e forte di migliaia di aderenti.
La nascita di quel sindacato si ispirava ai principi cattolici, alla scuola cristiano-sociale e aveva lo scopo di “agire in tutti i campi per difendere la gente della terra ed elevare economicamente e socialmente le classi contadine…”. Una rivoluzione, ma senza moti di piazza. Bonomi sapeva di poter contare su una marea di donne e uomini che per troppo tempo non avevano mai conosciuto dignità, certezze, riconoscimenti. Il primo raduno di quella gente a Roma, fu oceanico. Bonomi non arringava, non urlava; si limitava a esaltare il lavoro di quelle persone e di quel mondo che conosceva bene sin da quando portava i calzoni corti e gli zoccoli. Per questo era un leader amato e animato dalla forza della ragione e da milioni di braccia silenziose che credettero da subito in lui. Più che promesse indicò la strada di un cambiamento epocale incardinato su pochi, ma pratici provvedimenti: per primi la l’assistenza sanitaria e la previdenza (mutua e pensione), istituti di garanzia che cambiarono la vita di quei contadini, la maggior parte fittavoli, mezzadri, piccoli proprietari ai margini.
E portò anche la forza dei campi in Parlamento. Già deputato alla Costituente, fu eletto a Montecitorio nelle file della Democrazia Cristiana sino alla sua morte, nel 1985. E proprio nel partito dello Scudo Crociato Bonomi fece sentire il peso del settore primario, come mai nessuno altro riuscirà a fare dopo di lui: sugli scranni della Camera un’ottantina di deputati, tutti eletti dai coltivatori diretti d’Italia.
Quello schieramento, passato alla storia con il nome di “Bonomiana”, si rivelò determinante nelle votazioni e nelle scelte. I vertici della Dc, e non solo, ne dovettero tenere conto. Era riuscito nel suo capolavoro: la voce silenziosa di quel “mondo dei vinti” era arrivata nei posti di comando e poteva farsi sentire e decidere. Aldo Moro, nel 1976, allora presidente del Consiglio, parlando alla Coldiretti, dichiarò: “La vita democratica del nostro Paese sarebbe stata drammaticamente diversa se i coltivatori diretti non avessero garantito l’apporto insostituibile del loro voto e del loro consenso. Voi siete i garanti della libertà del Paese”.
Gianfranco Quaglia