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Non ci sarà nessun albero di Natale a illuminare la notte del 24 dicembre a Betlemme. Non fuochi d’artificio, né concerti tradizionali. Il dolore per quanto è successo e sta accadendo in Terra Santa è ancora troppo grande. “Sarà un Natale più sobrio”, aveva detto solo qualche giorno fa padre Patton, Custode di Terra Santa. I cristiani betlemiti hanno ancora negli occhi le immagini delle due donne cristiane di Gaza uccise dall’esercito israeliano solo pochi giorni fa. I bombardamenti nella parrocchia, il missile che ha sventrato il cortile dell’oratorio. “I segni esteriori di gioia sembravano irrispettosi”, fanno sapere i leader delle chiese, nei confronti dei tanti, troppi morti che questi due mesi di guerra ci hanno consegnato. Proprio per questo il tradizionale folclore che accompagna le celebrazioni di Betlemme tra qualche giorno cederà il passo a un clima più raccolto, più silenzioso.

Betlemme vive settimane di angoscia e tristezza profonda. Appena uscita dalla pandemia che aveva messo in ginocchio l’economia locale, oggi si trova ad affrontare una malattia ben più grave che ha già rubato il lavoro a migliaia di persone: l’odio e il fanatismo. I palestinesi che vivono di turismo e gli altri che campano grazie ai permessi israeliani per andare a lavorare al di là del muro non sanno come fare. Vivere è un lusso, mantenere le proprie famiglie a volte è un vero e proprio miraggio. In Palestina non ci sono contratti a tempo indeterminato, e moltissimi lavoratori vengono pagati alla giornata: dal 7 ottobre però le giornate sono tutte uguali, passate tra il chiedere aiuto alle organizzazioni umanitarie e guardare i cieli di Palestina, che ogni tanto si riempiono di caccia e missili. Colori di guerra. A pochi giorni dal Natale, i pellegrinaggi sono uno sbiadito ricordo e le migliaia di permessi sono stati cancellati. Il checkpoint che divide la Città Santa dalla piccola Betlemme è chiuso, e la piazza della mangiatoia è percorsa da taxisti che girano continuamente per trovare qualche cliente. Speranza vana. Gli hotel sono chiusi, i souvenirs nei negozi impolverati. Accanto alla stella che ricorda il luogo dove Gesù venne al mondo c’è solo qualche cristiano locale che accompagna i monaci nelle loro litanie.
La vigilia è alle porte. L’ingresso a Betlemme del Patriarca Latino il card. Pizzaballa avverrà come previsto da Status Quo alle 14 del 24 dicembre, e sarà accompagnato dalla banda di scout come ogni anno. L’unico momento festoso della giornata.

Poi la celebrazione nella basilica di Santa Caterina raccoglierà tutti i fedeli locali di nuovo vicino alla grotta. Si dice che a Betlemme ogni giorno è Natale. Eppure quello verrà ricordato tra le mura millenarie della basilica della Natività la sera del 24 dicembre assumerà un significato ancora più grande e profondo.

E se nessuna luce artificiale illuminerà le vie della città palestinese che Gesù scelse per mostrarsi al mondo, è la stessa Betlemme a brillare, per le parole usate dallo stesso Custode di Terra Santa: “la nascita di Gesù dentro la storia romana è paragonabile alla luce che brilla nelle tenebre. E’ un qualcosa che ci permette di orientarci dentro un mondo e una Storia oscuri e tenebrosi. Le tenebre non sono in grado si sopraffare la luce, questa piccola luce rappresentata dal figlio di Dio che si è fatto uomo”. Così, anche quest’anno, a Betlemme sarà un Natale di luce. In un modo o nell’altro, di conforto e di speranza.

Andrea Avveduto, Responsabile comunicazione Associazione Pro Terra Sancta

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