Nell’autunno del 1857, cominciò a circolare la voce che il Governo aveva intenzione di costruire una ferrovia lungo la sponda del lago Maggiore. Cavour, per modernizzare i trasporti e assicurare un maggior impulso all’economia, aveva immaginato di favorire l’utilizzo del treno verso la frontiera e l’Europa del nord: una «strada ferrata» – per dirla con le parole di Manzoni – che doveva andare «da Genova alla Svizzera e di là in Germania».
Il tracciato più breve passava sul lago Maggiore o sul lago d’Orta e faceva capo a Locarno. La notizia provocò una mezza insurrezione, in particolare ad Arona, dove la ferrovia era arrivata due anni prima (da Novara via Oleggio) accolta da festeggiamenti imponenti, alla presenza del deputato Torelli, eletto da anni nel collegio di Arona e collaboratore del ministro dei Lavori pubblici Paleocapa. Ma questo ulteriore sviluppo ferroviario produsse più proteste che soddisfazione. A fomentare il disappunto, l’ex sindaco di Arona Bottelli, che dava per certo un tracollo economico della cittadina e dei borghi rivieraschi nel settore dei trasporti su barca e del commercio via lago.
Manzoni seguì con attenzione e non senza preoccupazione il progetto della «temuta strada di ferro» che, nel tratto Arona-Feriolo, sarebbe passata – si diceva – lungo la riva, tra le case e il lago.
Risultato? “Uno scempio paesaggistico” che, già a quei tempi, doveva parer orribile, addirittura peggiore di quello provocato dalla strada napoleonica. Senza dire di Villa Stampa, a Lesa, dove l’autore dei Promessi Sposi villeggiava con la moglie Teresa e il figliastro Stefano. I convogli sarebbero transitati a pochi metri dalle finestre della facciata, facendo tremare vetri, piatti e bicchieri e riempiendo tutto di fumo.
Approfittando di un incontro con il Torelli, lo scrittore se ne fece ragguagliare con esattezza e informò la moglie. «Poco probabile – mise nero su bianco – che si preferisca la linea d’Orta, per la troppo bona ragione che ci sarebbe da superare una grand’altura in corto spazio, essendo Orta cento e più metri al di sopra del pelo del Lago Maggiore. In compenso, è probabile che, fatti studi più accurati e contrapposte le difficoltà, gl’inconvenienti e la spesa, si sceglierà la linea sulla costa del Vergante. È quella che il Paleocapa trovava la migliore. In ogni caso – aggiunse – si dovrà principiar da Domo fino a Fariolo. Dalla parte di Arona, finirà con una galleria nella rocca (vedi che spese e, per conseguenza, quanto tempo di mezzo) e questo rende anche preferibile la linea superiore, giacchè la discesa di là al lago richiederebbe una gran prolungazione».
La situazione, pur nella sua provvisorietà, sembrava chiarita: il tracciato sarebbe passato a monte, non sulla riva. Nondimeno: meglio premunirsi in vista dell’esproprio dei terreni, che avrebbe colpito soprattutto i proprietari delle ville. «I possesori – suggerì – potrebbero, in via precauzionale, stendere una memoria diretta al ministro de’ lavori pubblici, per dimostrare la convenienza, sia dal lato dell’economia, che da quello della sicurezza della strada, di tenersi verso il monte, passando così dietro gli abitati».
A Teresa, inviò il modello della petizione per il ministro, fornitogli dal Torelli stesso. Poteva occuparsene Stefano, che era il più adatto: oltre che proprietario della villa (il cui parco era da considerarsi ormai inesorabilmente perduto) e di vasti terreni a mezza costa tra Lesa e Belgirate, era una delle persone più importanti del luogo, consigliere comunale e sostenitore della banda musicale, alla quale aveva donato alcuni strumenti tra cui due clarinetti. «Ci aggiungerete voi altri argomenti presi da barcaioli, paroni, abitanti delle rive etc. Importa che questa petizione abbia molte firme e soprattutto quelle de’ più notabili, e che sia presentata presto. Se Stefano può in questi due giorni (prima della partenza per Milano) compire e mettere in netto la petizione e lasciarla a qualcheduno costì, per le firme, sarà un’ottima cosa».
La “strada di ferro” – vuoi per la petizione caldeggiata da Manzoni, vuoi per la morte prematura di Cavour – non fu realizzata che una cinquantina d’anni dopo, alla vigilia dell’apertura della galleria del Sempione. La tranquillità di Villa Stampa e della riviera del Vergante, tanto amata dall’illustre ospite, era per il momento salva.
Raffaele Fattalini
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