Il carnevale è terminato ma resta il tempo di andare indietro negli anni per ricordare quel che avvenne nel lontano 1898, per l’occasione, venne composta la prima canzone in dialetto galliatese, “Manghîn risüscità cò a sò famêglia”: testi dell’ingegner Antonio Rigorini (progettista, tra l’altro, dell’incompiuto campanile della parrocchiale); musiche del maestro Giusto Aurelio Ugazio.
L’anno seguente fece seguito un brano analogo, firmato da Pietro Gallina e musicato sempre dallo stesso Ugazio. Poi fu la volta di tante altre composizioni in vernacolo (più o meno riuscite), che accompagnarono nel tempo le chiassose sfilate dei carri per le strade del borgo.
Proprio di cent’anni fa è una delle più conosciute e briose canzoni carnevalesche locali, “A pêrla” (“La trottola”). Composta nel febbraio del 1924 dall’allora diciottenne Pietro Nuvolone, venne stampata dalla tipografia “Frapolli”.
Così l’incipit: “Varda a pêrla ‘mè ch’a va / sêu e giò prè i caratà… óilà, cumè ch’a va… / Una bèla scazitîna / l’à ciapara int’ì scusà… óilà, cumè ch’a va…” [Guarda la trottola come va / su e giù per l’acciottolato… oilà, come va… / Una bella ragazzina / l’ha presa nel grembiule… oilà, come va…].
Il lungo testo (suddiviso in strofe, con l’ultimo verso sempre uguale, a mo’ di ritornello: “là, là, là, varda a pêrla ‘mè ch’a va”) venne sottoposto alle forbici dell’auto censura al momento stesso della sua nascita, non tanto per evitare possibili interpretazioni maliziose, quanto per non avere problemi con le manifeste prese di posizione in campo politico. Si era alla vigilia delle elezioni politiche che avrebbero portato all’affermazione del regime fascista e nella versione originale della canzone non si lesinavano critiche al nuovo corso, così come non mancavano allusioni alla situazione economica interna e internazionale. Il testo originale è stato comunque in buona parte recuperato e compare nel primo libro di “Gajà Spitascià”, alle pagine 513-1514.
La musica della canzone venne composta in una vecchia osteria del paese, quella di “Schiscîn”, posta nel cortile della “Sinaghêna”, all’imbocco di viale Regina Margherita (l’attuale viale Leonardo da Vinci), angolo via San Martino.
La genesi e lo strepitoso successo del brano sono descritti alla voce “pêrla” del secondo volume di “Parole e Fatti. Dizionario storico linguistico galliatese”: «Il carro era stato costruito dal “Bistuchîn”; maestro direttore della musica era “Pipîn Bazitin”. Carro, canzone e stampa della stessa furono preparati tutti il lunedì grasso e il martedì di carnevale. Alle 17, non vi erano più canzoni: in sole due ore dopo l’uscita del carro, le canzoni (3000 copie, al costo di 10 centesimi l’una) erano tutte esaurite. Ristampate il primo giorno di quaresima, finirono a Cameri, Oleggio e Borgosesia, dove, mantenendo la musica, le parole ebbero altre definizioni e destinazioni. Il motivo si imparava in cinque minuti. La canzone era diventata la sigla di apertura e di chiusura di tutti i festival (balli all’aperto) della provincia».
Non solo. Alcuni amici della compagnia che aveva dato vita al carro, dopo non molto tempo, emigrarono in Argentina, imbarcandosi sul bastimento “Piemonte”; sulla nave iniziarono a cantare il motivo, ben presto imitati da gran parte dei compagni di viaggio.
«A Buenos Aires, poi, siccome le parole erano simili al dialetto spagnolo-ligure-italiano e vi risiedevano molti italiani (quartiere di Boca), divenne in un mese l’inno nazionale della comunità italo-argentina».
Nel 1970, quando fu inciso il disco “Gajà e i sò dialètu”, nella sezione dedicata ai componimenti carnevaleschi trovarono posto quattro brani: oltre ai ricordati due di fine Ottocento, “A pêrla” e un’altra famosissima canzone, “Gajà e i sò bunbón”, dedicata al gramolino, del 1939.
Direttore del coro, il maestro Nino Brustio; alla chitarra Franco Bozzola; alla fisarmonica Elio Trombini.
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